Attribuzione patrimoniale a favore del convivente: possibile ipotizzare l’adempimento di un’obbligazione naturale
Fondamentale però che sia adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali di colui che sborsa il denaro

L’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurare l’adempimento di un’obbligazione naturale. A patto, però, che l’attribuzione medesima sia adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali di colui che sborsa il denaro e non travalichi i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.
Questo il principio fissato dai giudici (ordinanza numero 11337 del 30 aprile 2025 della Cassazione), i quali hanno respinto definitivamente l’istanza avanzata da un uomo e mirata a vedere condannata l’ex compagna, con cui aveva convissuto more uxorio per quasi tre anni, a restituirgli 20mila euro, cifra corrispondente a quanto da lui, operaio, sborsato – essendo lei disoccupata – per spesa, bollette, mutuo per la casa.
Per i giudici, con specifico riferimento ai doveri morali e sociali che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convivenza more uxorio, i versamenti di denaro eseguiti da un convivente a favore dell’altro durante la convivenza costituiscono adempimento di un’obbligazione naturale e cioè l’esecuzione di un dovere morale e sociale, con conseguente impossibilità di chiederne la restituzione. Tali dazioni vanno generalmente intese, difatti, come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell’ambito di un consolidato rapporto affettivo, che non può non implicare forme di collaborazione e di assistenza morale e materiale.
Detto ciò, è configurabile l’ingiustizia dell’arricchimento di un convivente more uxorio ai danni dell’altro in presenza di prestazioni che, compiute dal secondo a vantaggio del primo, esulino dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalichino i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.
Ragionando in questa ottica, nella vicenda presa in esame, accertato che l’uomo, di professione operaio, era, tra i due conviventi, unico percettore di reddito ed aveva provveduto a pagare, per la durata della convivenza (tre anni), le rate del mutuo, per complessivi 24mila euro, di cui era gravata la casa in cui entrambi i conviventi avevano vissuto, detto importo (pari ad 8mila euro all’anno e, dunque, a 666 euro al mese), in quanto corrispondente a quanto notoriamente sarebbe stato speso a titolo di canone di locazione per una unità immobiliare, va ritenuto proporzionato e, come tale, da ricondursi ad una forma di collaborazione e di assistenza morale e materiale, che si reputa doverosa nell’ambito di un consolidato rapporto affettivo.
Tirando le somme, i versamenti effettuati dall’uomo vanno qualificati come adempimenti di obbligazioni naturali, in quanto eseguiti nell’ambito di una convivenza more uxorio consolidata.