Freddezza e niente intimità: ciò non basta a certificare la crisi della coppia

Possibile, comunque, nella vicenda oggetto del processo, ipotizzare l’addebito della separazione alla donna beccata a tradire il marito dall’investigatore privato

Freddezza e niente intimità: ciò non basta a certificare la crisi della coppia

Ufficializzata la separazione coniugale, dopo quasi quindici anni di matrimonio, i giudici di merito respingono la tesi portata avanti dall’uomo e mirata ad addebitare l’irreversibile crisi della coppia alla relazione extraconiugale – certificata da un investigatore privato – della moglie. Su questo fronte, difatti, i giudici ritengono evidenti, invece, le precedenti difficoltà della coppia, e, in questa ottica, pongono in evidenza due circostanze: primo, a presentare la richiesta di separazione è stata la donna, e appena un mese dopo la scoperta fatta dall’investigatore privato; secondo, l’uomo ha ammesso che già prima del tradimento subito vi era freddezza tra lui e la consorte, tanto da non avere più rapporti intimi. Tirando le somme, per i giudici di merito è palese come moglie e marito siano entrati in crisi ben prima dell’avventura extraconiugale della donna. In Cassazione la difesa contesta duramente l’ottica adottata in Appello e, sottolineando come non sia in discussione l’adulterio compiuto dalla moglie del proprio cliente, ritiene illogico non addebitare la separazione della coppia alla donna. Allo stesso tempo, il legale osserva che l’uomo ha sì «dedotto di avere notato una certa disaffezione della moglie», ma non ha prospettato tale circostanza «quale dimostrazione dell’intollerabilità della convivenza, ma come sintomo di qualcosa che, poi, si è mostrato essere l’adulterio della donna». Queste obiezioni sono convincenti, secondo i magistrati di Cassazione, e sono sufficienti per mettere in discussione il pronunciamento d’Appello. In premessa, comunque, viene ribadito che «la pronuncia di addebito della separazione non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare che tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata una situazione in cui la convivenza non era più tollerabile, abbia assunto efficacia causale nel determinare l’impossibilità per i coniugi di continuare a vivere insieme». E «l’indagine sull’intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell’uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell’altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano riservato, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale». Tali principi sono applicabili anche all’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, «che, costituendo una violazione particolarmente grave, normalmente idonea a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, è ritenuta, di regola, sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, a meno che non si accerti, attraverso un’indagine rigorosa ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, che l’infedeltà non ha costituito la causa efficiente della crisi coniugale, essendosi manifestata in presenza di un deterioramento dei rapporti già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza divenuta ormai meramente formale». Necessario, quindi, fare chiarezza su questi punti, con un nuovo processo d’Appello. (Cass. civ., sez. I, ord., 29 aprile 2024, n. 11394).

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