Fronte Iva: come distinguere spese di rappresentanza e spese di pubblicità
Elemento dirimente per qualificare la spesa di rappresentanza sono natura e funzione della spesa
In materia di IVA, ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti: le prime sono sostenute per accrescere il prestigio dell’impresa, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento di notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite.
Elemento dirimente per qualificare la spesa di rappresentanza sono natura e funzione della spesa, mentre la gratuità integra un indice valutabile ai fini di una ricostruzione fattuale obiettiva e completa.
Questi i principi di diritto fissati dai giudici (ordinanza numero 25143 del 13 settembre 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame le spese sostenute da un’azienda vitivinicola per l’organizzazione di un ‘Premio’.
Riflettori puntati sugli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate e con cui si è proceduto, nei confronti dell’azienda, alla rettifica del reddito d’impresa dichiarato negli anni 2013 e 2014. Contestata, in particolare, la qualificazione giuridica delle spese collegate all’organizzazione del ‘Premio’, spese ritenute dalla contribuente aventi natura pubblicitaria, mentre ritenute dal Fisco spese di rappresentanza e come tali indetraibili.
Per i giudici di secondo grado non vi sono dubbi: le spese per il ‘Premio Masi’ possiedono una forte caratterizzazione commerciale che consente di assimilarle alle spese pubblicitarie.
Questa visione viene criticata dai magistrati di Cassazione, i quali ridanno solidità alla posizione del Fisco.
In generale, non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a 50 euro. E le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, anche in funzione della loro natura e della loro destinazione.
Entrando nei dettagli, si considerano inerenti, sempreché effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore.
In materia di IVA, ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati. Inoltre, in tema di redditi d’impresa, anche quando la società contribuente, nel commercio di prodotti di lusso o di nicchia, dispone di un’utenza di riferimento tendenzialmente ristretta, il criterio discretivo tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza è rappresentato dagli obiettivi immediatamente perseguiti mediante gli esborsi sostenuti, i quali, per iscriversi alla prima categoria, devono necessariamente rispondere ad una finalità promozionale specificamente incentrata sui prodotti e compiuta attraverso un’attività reclamistica e organizzativa direttamente calibrata sulla loro vendita, mentre rientrano tra le seconde i costi di iniziative imperniate sull’ente e orientate a potenziarne, quale patrocinatore o sovvenzionatore di eventi culturali, il grado di conoscenza, l’immagine e il prestigio fra potenziali e selezionati clienti, ancorché da esse possa derivare, collateralmente e di riflesso, un incremento delle vendite dei prodotti. Ancora, costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite, sicché è necessaria una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese.
Siffatto criterio di distinzione tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità tiene conto della nozione di spese di pubblicità, che implica necessariamente la diffusione di un messaggio destinato ad informare il consumatore dell’esistenza e delle qualità di un prodotto o di un servizio allo scopo di incrementare le vendite, e, benché la diffusione di un messaggio del genere avvenga di solito mediante parole, scritti o immagini via stampa, radio o televisione, essa può anche essere effettuata ricorrendo parzialmente o in via esclusiva ad altri strumenti.
Le indicazioni fornite dal decreto ministeriale ben possono assolvere una funzione di specificazione ed ausilio dei connotati tipici delle spese di rappresentanza, tra cui, comunemente, la gratuità. Invero, il decreto ministeriale, nella scia della norma primaria cui è inteso dare mera attuazione in punto di inerenza delle spese di rappresentanza, chiarisce che queste rispondono alla logica di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa, ponendo così l’accento (in armonia con la natura e la destinazione delle spese) sulla promozione dell’impresa, o, meglio, dell’immagine dell’impresa, piuttosto che sui suoi prodotti. Perciò, nel discernimento tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità, si può motivatamente valutare anche il profilo della gratuità, quale connotato normalmente, anche se non necessariamente né univocamente, attagliantesi alle prime.
In altri termini, l’elemento dirimente per qualificare la spesa di rappresentanza è la natura e la funzione della spesa, mentre la gratuità integra un indice valutabile ai fini di una ricostruzione fattuale obiettiva e completa.
Così ricostruito il quadro complessivo e ribadito il criterio degli obiettivi perseguiti quale discrimine tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità, bisogna tornare alla specifica vicenda per osservare che il ‘Premio’ è un evento che si svolge annualmente, quindi con una certa ritualità, e si concretizza in una vera e propria cerimonia, alla presenza di stampa, televisioni e mezzi di comunicazione, cui prendono parte varie personalità che si sono particolarmente distinte nel corso dell’anno precedente, aperta a centinaia di invitati rappresentanti di fornitori, clienti, autorità pubbliche.
Evidente, secondo i giudici di Cassazione, l’errore compiuto in secondo grado, laddove si è sostenuto che le spese affrontate per la manifestazione devono ritenersi connotate da una forte caratterizzazione commerciale che consente di assimilarle alle – e dunque neppure propriamente sussumerle nelle – spese pubblicitarie, mentre, invece, la manifestazione è un ‘Premio’, che, finanche nella denominazione, porta l’intitolazione alla società, quale casa vinicola, ed estrinseca una correlazione finalistica con la promozione della ‘civiltà del vino’.
Davvero dubbia, in sostanza, la forte caratterizzazione commerciale, sostenuta in secondo grado, delle spese relative alla manifestazione.