Mantenimento per i figli: necessario fare riferimento all’attualità della situazione dei genitori e della prole
Impossibile valutare proiezioni di lungo periodo, indeterminate nel loro futuro divenire, in merito alle esigenze dei figli e alle disponibilità economiche dei genitori
Per la quantificazione dell’assegno di mantenimento per i figli minori è necessario applicare il principio di proporzionalità fissato dal Codice Civile, però considerando le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. E tale valutazione deve essere compiuta all’attualità, e non può fondarsi, invece, su proiezioni di lungo periodo indeterminate nel loro futuro divenire, dovendo il contributo al mantenimento dei figli gravare su entrambi i genitori secondo un criterio di proporzionalità.
Questi i paletti fissati dai giudici (ordinanza numero 25421 del 16 settembre 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame le obiezioni sollevate da un papà ritrovatosi sul groppone l’obbligo di versare ben 3mila euro al mese per il mantenimento del figlio.
Questa cifra può essere messa in discussione, secondo i magistrati, i quali ricordano che, in generale, in tema di contributo al mantenimento dei figli, che si caratterizza per la sua bidimensionalità, da una parte, vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni, e, dall’altro, vi è il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno.
Il criterio di proporzionalità, previsto dal Codice Civile per quanto concerne il concorso di entrambi i genitori al mantenimento del figlio, costituisce una regola imprescindibile per la determinazione dell’obbligo genitoriale, rilevante anche in caso di disgregazione della famiglia, e richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre la considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto.
Non a caso, nel prescrivere che entrambi i coniugi devono adempiere all’obbligazione di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro, il legislatore non ha dettato un criterio automatico per la determinazione dell’ammontare dei rispettivi contributi, fornito dal calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti (che finirebbe per penalizzare il coniuge più debole), ma ha previsto un sistema più completo ed elastico di valutazione, che tiene conto non solo dei redditi, ma anche di ogni altra risorsa economica e delle capacità di svolgere un’attività professionale o domestica e casalinga, e che si esprima sulla base di un’indagine comparativa delle condizioni dei due genitori, di guisa che, nella determinazione del contributo al mantenimento dei figli, non è affatto indifferente il variare delle condizioni reddituali e patrimoniali dei genitori, poiché a queste va direttamente ragguagliata l’entità del mantenimento, così da assicurare ai figli, per quanto possibile, anche in regime di separazione, un tenore di vita proporzionato alle possibilità economiche della famiglia. Per tale motivo, la quantificazione dell’assegno periodico, in applicazione del principio di proporzionalità, non si esaurisce nella valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori e non comporta che la partecipazione di ciascuno al mantenimento sia paritaria.
La valutazione delle esigenze del figlio, in particolare, va compiuta all’attualità e non può fondarsi su proiezioni di lungo periodo indeterminate nel loro futuro divenire, potendo trovare ingresso eventuali motivate considerazioni prognostiche solo se inerenti a individuati ed ordinari accadimenti della vita che riguardino un arco di tempo circoscritto e si palesino come probabile e coerente sviluppo di quanto già in atto (ad esempio, le spese ordinarie per l’istruzione scolastica, di durata normalmente pluriennale, che risultano prevedibili in ragione del corso di studio seguito).
Anche il parametro del tenore di vita va valutato in relazione alla situazione esistente al momento in cui si è verificata la crisi familiare e non già sulla scorta della valutazione prospettica del tenore di vita che la coppia avrebbe potuto raggiungere, ove non fosse intervenuta la crisi familiare.
Analizzando la vicenda in esame, quindi, è erronea, sanciscono i giudici di Cassazione, la decisione emessa in Appello, decisione con cui si è affermato che la quantificazione dell’assegno di mantenimento deve tendere allo scopo di soddisfare le esigenze primarie e, in proiezione futura, le stesse prerogative e opportunità cui avrebbero potuto ambire qualora il nucleo familiare fosse rimasto unito e si è aggiunto che, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, il principio di proporzionalità va orientato alle esigenze del figlio e delle potenzialità che derivano dalla capacità reddituali dei genitori, spendibili in futuro.