Scavo nel sottosuolo dello stabile: censurata l’opera del condòmino
Lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condòmini, va considerato di proprietà comune
Lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condòmini, va considerato di proprietà comune. Perciò, laddove il singolo condòmino proceda, senza il consenso degli altri partecipanti, a scavi in profondità del sottosuolo, così attraendolo nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, si configura uno spoglio denunciabile dall’amministratore con l’azione di reintegrazione.
Questa la visione tracciata dai giudici (ordinanza numero 20152 del 18 luglio 2025 della Cassazione) per dirimere il contenzioso sorto in palazzo in provincia di La Spezia.
A dare il ‘la’ alla querelle giudiziaria è il condominio che cita la condòmina, proprietaria di due porzioni immobiliari al piano terreno, lamentando l’esecuzione, da parte della condòmina, di opere di scavo del sottosuolo comune, conseguente parziale appropriazione del sottosuolo.
Il condominio chiede non solo di accertare l’illegittimità delle opere svolte ma anche di condannare la condòmina al ripristino dello stato dei luoghi e al versamento di un risarcimento del danno.
Per i giudici di merito, però, la condòmina non ha posto in essere un uso illegittimo della cosa comune, in quanto l’abbassamento del piano di calpestio dell’immobile, lamentato dal condominio, non ha comportato alterazione della destinazione del bene comune, rappresentata, nello specifico, dalla funzione di sostegno alla stabilità dell’edificio.
Inoltre, secondo i giudici di merito, è impossibile parlare di uso illegittimo della cosa comune, a fronte del modesto utilizzo, da parte della condòmina, del sottosuolo su cui poggia il condominio.
Secondo i giudici di merito si può parlare di un uso più intenso, ma consentito, del bene, e non già di una alterazione del bene.
Questa visione viene smontata dai magistrati di Cassazione, per i quali è necessario valutare, nella vicenda in esame, se vi sia stata, da parte della condòmina, una appropriazione di spazio comune per ricavare un ampliamento dei locali di sua proprietà.
Questo dettaglio è fondamentale, anche alla luce del principio secondo cui lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condòmini, va considerato di proprietà comune, sicché, ove il singolo condòmino proceda, senza il consenso degli altri partecipanti, a scavi in profondità del sottosuolo, così attraendolo nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, si configura uno spoglio denunciabile dall’amministratore con l’azione di reintegrazione.