Utilizzo consapevole dei ‘social media’: vademecum del ‘Garante per la privacy’
Il monito: è bene ricordare sempre che un contenuto, una volta pubblicato online, sarà difficile da rimuovere definitivamente dalla rete
Vademecum del ‘Garante per la privacy’ (comunicato del 14 novembre 2025) per l’utilizzo consapevole e sicuro dei ‘social media’.
I ‘social network’ sono il luogo in cui non esistono barriere tra la vita digitale e quella reale: quello che succede online, ricorda il ‘Garante’, ha sempre più spesso impatto fuori da Internet, nel quotidiano e nei rapporti con gli altri.
I ‘social’ rendono più semplici i contatti, favoriscono lo scambio di informazioni con un numero enorme di persone, permettono di esprimere idee, passioni o talenti, ma amplificano allo stesso tempo i rischi di un utilizzo improprio o fraudolento dei dati personali, esponendo le persone a furti di identità, abusi, danni della reputazione, informazioni non verificate o vere e proprie fake news.
Proprio con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dei giovani, e degli adulti, e far conoscere i diritti di ognuno e gli strumenti di tutela a disposizione, il ‘Garante’ ha aggiornato la guida ai ‘social media’, guida caratterizzata da ‘avvisi ai naviganti’ e consigli di utilizzo.
In generale, i ‘social media’ sono piazze digitali in cui, via Internet ci si ritrova condividendo con altri informazioni, fotografie, filmati, pensieri, indirizzi, conoscenze e tanto altro.
‘Facebook’ ha avuto origine in ambito universitario, come una bacheca telematica tra colleghi di corso che non si volevano perdere di vista e che desideravano ritrovarsi e scambiare informazioni, una volta entrati nel mondo del lavoro. L’esigenza di condivisione ha trovato poi una risposta nella nascita di altre piattaforme, come quelle che permettono di comunicare con testi brevi (‘Twitter’, ora ‘X’) o di esprimersi attraverso la pubblicazione di foto (‘Instagram’) e video (sempre ‘Instagram’, poi ‘Snapchat’ e ‘TikTok’), o di fare rete in ambito professionale (‘LinkedIn’). Altre piattaforme, come ‘YouTube’, si sono evolute, arrivando a proporre veri e propri palinsesti tv online, altre ancora appartengono già all’archeologia (‘MySpace’).
Insieme alle modalità di espressione, i ‘social network’ si stanno ormai distinguendo anche per i target, cioè il pubblico a cui si rivolgono: è infatti sempre più probabile, ad esempio, che su ‘Facebook’ ci si ritrovino i genitori o i nonni, mentre i più giovani interagiscono coi loro coetanei
su ‘Instagram’ o ‘TikTok’.
Anche le ‘app’ di messaggistica, sebbene non si tratti di piattaforme, ci permettono di essere sempre in contatto e di scambiarci file, immagini e video, come ‘WhatsApp’ o ‘Telegram’, sono considerate social media.
Ma come mai queste piattaforme gratuite sono tra le aziende più ricche del mondo? I ‘social’ si finanziano vendendo pubblicità mirate. Il valore di queste imprese è legato proprio alla capacità di analizzare nel dettaglio i profili degli utenti: le loro abitudini, gli interessi, la rete di contatti, le interazioni con i contenuti pubblicati dagli altri utenti et cetera. In poche parole, i loro dati personali. Tutto ciò al fine di prevedere i nostri comportamenti, le nostre scelte, i nostri prossimi acquisti.
Queste informazioni vengono poi vendute a chi sceglie di utilizzare i ‘social’ per promuovere la propria attività, lanciare offerte commerciali, sostenere campagne di diverso genere, influenzare le opinioni degli utenti.
Sui ‘social’, e sul web in generale, dietro a un servizio gratuito si nasconde l’utilizzo e, talvolta, lo sfruttamento dei nostri dati.
Insieme a straordinarie opportunità di crescita e conoscenza, la rete presenta pericoli che si amplificano in misura esponenziale quanto più piccoli e tendenzialmente immaturi sono gli utenti delle piattaforme. Queste insidie vengono accresciute dalla scarsa consapevolezza che i minori hanno delle conseguenze di ogni loro ‘click’, ma anche dagli effetti che un uso improprio della loro immagine o l’esposizione a determinati contenuti può avere sulla formazione della personalità.
È per questo che la normativa privacy accorda ai minori una tutela rafforzata. Il regolamento europeo sulla protezione dei dati, difatti, stabilisce che il trattamento dei dati dei giovani con un’età inferiore ai 16 anni, nell’ambito dell’offerta di servizi della società dell’informazione, sia lecito soltanto se il consenso è prestato o autorizzato dai genitori o da chi esercita la responsabilità genitoriale. Ma il regolamento europeo permette a ogni Stato membro dell’Unione Europea di stabilire un’età inferiore per accedere ai servizi e agli strumenti offerti dalla rete, purché non sia inferiore ai 13 anni. In Italia questo limite è stato fissato dalla legge a 14 anni.
La normativa prevede inoltre che le informazioni da fornire ai più giovani per spiegare se e come vengono trattati i dati personali siano scritte con un linguaggio particolarmente chiaro e semplice, conciso, facilmente accessibile e comprensibile, in modo che il minore sia realmente consapevole dell’utilizzo dei suoi dati.
In questa prospettiva si colloca il vademecum predisposto dal ‘Garante’ e caratterizzato da molteplici consigli utili. Tra questi, innanzitutto, l’invito a tenere d’occhio le impostazioni: gli account sui ‘social media’ dei minori tra i 14 e i 18 anni dovrebbero essere impostati automaticamente su ‘privato’. In questo modo solo i nostri amici possono vedere cosa ci piace, quello che postiamo e i contenuti che condividiamo. Se, invece, il profilo social è impostato su ‘pubblico’, chiunque può sapere ciò che facciamo. In aggiunta, poi, è bene ricordare sempre che un contenuto, una volta pubblicato online, sarà difficile da rimuovere definitivamente dalla rete. Quindi, prima di pubblicare, chiediamoci se quelle parole, quella foto o quel video sono davvero ciò che vogliamo sia visto da tutti negli anni a venire.